“Eravamo insieme, tutto il resto del tempo l’ho scordato.”
(Walt Whitman)
Quanto è lungo un istante? A volte solo l’attimo di un secondo, a volte uno sciame di stelle infinito, altre non ti accorgi nemmeno che l’istante che non puoi riavere indietro è già passato, volato altrove. L’intensità di un primo incontro o di un ultimo addio.
Prendo dalla borsa il taccuino nero insieme al libro di poesie e li appoggio sul tavolino rotondo coperto da una tovaglia dai profili verdi senza macchie.
Vous-voulez quelque chose, madame?
No, merci. J’attends une personne.
Très bien.
Il campanellino metallico attaccato alla porta a vetri all’ingresso suona. È arrivato qualcuno. Alzo lo sguardo come quando si scorgono le persone uscire all’aeroporto allungando il collo o si aspetta l’esito di una bella notizia seduti in poltrona. Niente.
Mi troverai qui ad aspettarti.
Seduta sui nostri ricordi.
In un posto dove un tempo siamo stati felici.
E alzerò lo sguardo ogni volta che la porta si apre. E so che i nostri occhi si incontreranno ancora.
Non fare tardi.
Appoggio la penna sul taccuino ora scarabocchiato di inchiostro nero e pensieri bianchi mentre il sole va e viene sulla carta da parati. Fa freddo oggi per essere primavera. Il tempo è mutevole spinto dal veloce vento, come il mio cuore. Un pomeriggio di nuvole e pioggia sembra tornare oltre i vetri di questo locale mentre i volti dei passanti avanti e indietro sulla strada e lì intorno trasportano la mia mente altrove. Quante memorie può contenere la mente? Quanti frammenti può custodire un segreto tenuto nascosto al mondo? Eccole lì, le scarpe consumate, gli uccelli nelle nuvole, le fontane solitarie, il murales della città, la pagina ringrinzita dalle lacrime, i baci sul molo tra fate e lillà. Nel flusso, il riflusso delle cose. Le inseguo con l’immaginazione, l’ondosa dolcezza delle malinconie lontane e la calma visione dei momenti sfumati. Poi, ancora il caos, il suo ricordo, le acque precipitose e l’approdo di nuovo sulla terraferma rincuorata dal sole. Molte terre sono passate di qua, per la strada dei ricordi. Ma ora, il momento presente si presenta come qualcosa che non ho mai visto, una rivelazione sconosciuta. Un’esperienza dagli occhi vergini che non contengo più.
La porta del locale si apre di nuovo, facendo entrare una folata di vita sulla viso. Una vita che si fa sottile come l’aria di primavera. Niente.
Prendo dalla tasca della giacca il bigliettino stropicciato.
Meet me in Paris.
Paris. Non c’è scritto dove. C’è scritto solo “Paris”. Ma Parigi è sconfinata come i nostri ricordi. E i nostri ricordi dentro questa città sono caleidoscopici. Potrei girovagare per giorni e istanti e mai arrivare. Mai approdare a quell’esatto luogo in cui un tempo saremo ancora felici. Ricordi e palazzi dappertutto. Potrebbe essere quella panchina verde vicino alla cattedrale, quell’enoteca dai tavolini piccoli, quel parchetto dagli alberi alti, il gate dell’aeroporto, la libreria del V° o forse quella dell’XI°. Come puoi aggrapparti a qualcosa che non sta fermo? Qualcosa che si muove come un cuore intorno a un sole di ricordi ed emozioni?
Le campane di Saint-Germain-des-Prés si incontrano e si toccano come amanti ritrovati, creando cinque abbracci metallici, un invito a muoversi ed espandersi altrove. Raccolgo le mie cose e le mie domande, mi alzo ed esco dal locale chiudendomi la giacca sul collo.
Merci, au revoir.
Guardo a destra, poi a sinistra, guardo due persone tenersi per mano, e imbocco