"Se tardi a trovarmi, insisti.
Se non ci sono in nessun posto,
cerca in un altro, perché io sono
seduto da una qualche parte,
ad aspettare te…
e se non mi trovi più in fondo ai tuoi occhi,
allora vuol dire che sono dentro di te.”
(Walt Whitman, Se tardi a trovarmi)
È tutto il giorno che giro. Cammino, mi siedo, mi riprendo, non mi fermo. Cerco, rovisto tra i ricordi, annaspo tra i luoghi. Dove sei? In nessun posto. Eppure mi sembra di sentirti ovunque, lo so che ci sei, fatti vedere. Sono venuta qui per te.
È il terzo giorno che sono a Parigi. È il quinto mese che non c’è più. Dissolto nel vento, oltre ogni tempo. Ma quando ho deciso che era il momento di uscire di nuovo nel mondo, ho sentito che l’unico universo per me possibile era qui, qui dove ci sono ombre, echi, ricordi.
Te la senti di andare a Parigi da sola? Non è troppo presto? Non è troppo? Forse dovresti aspettare.
Già, forse dovrei aspettare. Ma ciò che non controllo più non è l’attesa, è la distanza, il vuoto del suo corpo. Forse qui riuscirò a sentire il suo abbraccio, una lontana carezza.
Calpesto l’incertezza di questa nuova vita osservando ciò che è stato, ripercorrendo i momenti che abbiamo abitato, le sensazioni che abbiamo esplorato e che sento ancora sulla nuca come il vento leggero dei pomeriggi d’estate: mi siedo sulla quella panchina in Place du Louvre di notte, sfoglio i libri di quella libreria alpina nel V° arrondissement, ascolto qualche musica dalla cuffia sotto gli alberi a Place de Vosges. Mi rimbombano dentro le voci calde, i suoni allegri, gli odori della sera, le gioie estive, i silenzi dei cieli nudi. Tutti questi posti e i loro angoli a me segreti riescono ancora a procurarmi una strana sensazione speciale, una melodia felice. Ora avvolti da una malinconia vergine.
Me lo dico facendo un piccolo sospiro, seduta su una sedia di ferro verde sotto le foglie dei viali dei giardini Luxembourg. Neanche qui ti ho trovato. Ero certa saresti stato qui ad aspettarmi. L’ultima volta in questo posto, meno di due anni fa, ci siamo fermati a guardare una partita di tennis mentre mangiavamo macarons al caramello e tu mi spiegavi le regole e io ti dicevo che volevo andare ad ascoltare la banda sotto il pergolato poco più avanti. Poi ci siamo baciati sotto quell’albero alto. Perché non sei sotto quell’albero. Pensavo ti ricordassi. Ma forse non è stato così importante.
Forse ho accelerato i tempi. Forse venire a Parigi per questa prima vacanza è stato troppo, un passo oltre. Avevano ragione gli altri. Eppure gli altri non sentono quella voce profonda che indica la direzione giusta che ora non ho.
Tornerai?
Torneremo ogni notte sotto le stelle di agosto.
È agosto. Torna, Jacques.
Chiudo il libro azzurro di poesie che ho portato a farmi compagnia, cerco gli indizi anche lì, nelle parole. Mi alzo e cammino sulla ghiaia polverosa verso casa lì vicino, a pochi metri da quella che un tempo era la mia di casa, dove abbiamo abitato momenti giovani e trasparenti.
Mi faccio una doccia e, con i capelli bagnati e il telo bianco a stringere il petto, annoto sul diario qualche parola sdraiata sul letto:
Il mio cuore è malato. Il mio dolore è bianco.
Ciò che provo non ha nome. Trova un nome.
Che ne sarà di noi? Solo i ricordi?
Dalla finestra vedo il cielo del pomeriggio che si sta trasformando, nuvole frenetiche che si spostano e si allargano per lasciare spazio a qualcosa, sembra di bello. Immagini di notti future. Ti cercherò domani.
Mi preparo per questa nuova serata solitaria, scelgo un vestito bianco e corto con le maniche lunghe a sbuffo, appoggio una grande giacca blu sulle spalle, metto nella borsa di paillettes gli AirPods, la mascherina, il piccolo libro di poesie e mi infilo un paio di sandali con un po’ di tacco mentre sono già fuori dalla camera.
È tardo pomeriggio, le rue e i quais si popolano di folle lente mentre la luce ancora chiara del giorno scorre e avvolge, colma il cuore e sconvolge, e io ho voglia di camminare ancora.
All’altezza di Saint-Germain-des-Prés mi fermo a leggere delle poesie appese su un cancello. Ce n’è una molto bella di Paul Verlaine e un’altra sulla quale fermo gli occhi per molti secondi: “Le monde est une poesie”. È vero. Sento le parole profonde delle poesie e del mondo intorno a me e mentre ci penso, giro di poco la testa e la vedo, quella improbabile pizzeria dall’insegna rossa e oro dove una volta, ventenni o poco più, ci siamo intrufolati dopo aver trovato per terra 50 euro. Pizza Vesuvio Ristorante Italiano. Le estremità delle labbra fanno un cenno dolce verso gli occhi e sorrido. Era stata una bella serata.
Mentre proseguo per i marciapiedi lunghi del boulevard, schiaccio con il sandalo una scritta rosa che dice: “L’ Amour au Pouvoir!”. L’amore al potere. Sento frammenti di bellezza ovunque, come se fossi immersa negli strati più ricchi della mia mente dove ogni cosa ha un colore e io lo posso toccare. I fiori di quella bancarella, il vestito rosso di quella ragazza in bicicletta, la musica fresca del violino, il suono leggero del cielo.
Avevo ragione, si sta aprendo. Sta lasciando la strada a qualcosa davvero di bello e a me sconosciuto.
I rintocchi delle campane di qualche chiesa vicina mi ricordano che è quasi ora di cena e ho fame, ma non ho voglia di fermare questo tempo che scorre seduta al tavolino di qualche bel locale. Prendo un sushi da asporto e una bottiglia di rosé dal frigo di uno dei tanti Monoprix della città e so già qual è la mia prossima tappa. Spero sarai lì ad aspettarmi, tra onde di fiume arancio e cieli vestiti di dolcezza. In cassa, la commessa sorride vedendo che ho comprato un bicchiere di vetro. Avresti riso anche tu.
Dai, Pan Pan, non possiamo prendere i bicchieri di carta?
Non rompere, Jacques. Ti pare che bevo in bicchieri di carta?
Calamitata come in un’ipnosi, arrivo al nostro posto, quella punta dell’isola che sembra un satellite staccato dalla realtà. Stasera c’è più gente di quella che speravo e ci rimango un po’ male quando la punta sotto il salice piangente è già occupata. Mi faccio spazio lì vicino, giusto il modo di avere la vista frontale verso il Pont des Arts e i ricordi più veri vissuti in questo posto con te. La prima volta seduti qui abbiamo fatto quella foto in cui mi baci la fronte. L’ultima, ho sentito che sarebbe stato un arrivederci, il cuore lo sa.
Il vestito è forse troppo corto per sedermi per terra così. Mi tolgo la giacca e la uso come cuscino. Apparecchio il pezzo di strada come se stessi preparando una cena speciale, metto gli AirPods, faccio partire una nostra playlist e sento che non manca davvero più niente per riuscire a sentire qualcosa dentro.
I am not the only traveler
Who has not repaid his debt
I've been searching for a trail to follow again
Take me back to the night we met
Bevo il primo profondo sorso dal bicchiere freddo e osservo questa sera senza confini che mi sembra uno schizzo dal passato. Qualcosa di già vissuto in una memoria nuova.
Tutto è carico di un tale peso che ci sprofondo dentro. Annegata. Mute acque che mi richiamano. Quanto ci metterei ad annegare davvero se ora mi lasciassi andare alle onde calme della Senna. Inghiottita. Quanto ci metterei a scomparire da questo mondo per arrivare nel tuo. A smettere di galleggiare sopra il dolore. Ci scorderemo del male e di ogni cielo e il cuore sembra sciogliersi sopra questo pensiero.
Nothin' goes as planned
Everything will break
People say goodbye
In their own special way
All that you rely on
And all that you can fake
Will leave you in the morning
But find you in the day
Oh you're in my veins
And I cannot get you out
Oh you're all I taste
At night inside of my mouth
Finché sei stato qui, tutto era calmo e caldo. Una carezza di sole su tutto il corpo.
Ora, ho paura di dimenticarti. Dimenticare la sensazione dei tuoi occhi, della tua voce, della tua risata. Paura che tu ti dissolva mentre io guarisco, camminando e imparando di nuovo la bellezza di questa vita senza di te.
Provo a calmarmi, calando un nuovo sorso di vino. È quasi finito.
Sorrido guardando una ragazza seduta poco lontano da me, avrà vent’anni, ed è lì tuffata nella felicità di quello che credo essere il suo ragazzo. Penso che sono carini. Mi sorride anche lei. Un altro sorso. Chissà se la bellezza ha abbandonato per sempre la mia lingua.
Mi accorgo che tutti questi pensieri che stanno affollando la mia solitudine hanno provocato delle lacrime che ora scendono verticali sul viso e io non ho voglia di fermarle. Voglio lasciarle lì, come segno di quello che sono ora. Nomade senza casa dentro di me. Dove sei, Amore? Riportami a casa.
Resto così per un po’, credo tanto. Con gli occhi chiusi, la musica profonda, la sensazione di pioggia dentro. Ma anche con gli occhi chiusi, sento tutto, vedo il cielo che sta cambiando colore e immagine.
Mentre lo penso, mi accorgo di fare un piccolo salto. Come a rientrare nel quadro da cui mi ero tolta. Apro gli occhi. È quella ragazza. Quella con cui ci siamo sorrise poco fa. Si siede da parte a me.
Parlez-vous français?
Oui.
Mi allunga la mano e mi porge qualcosa. Un