“Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”
(Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe)
Allora, Charlotte, come ti senti? Come sono andate queste vacanze?
La stanza è come l’ho lasciata, qualche settimana fa. Ampia e chiara, fatta di alti colori bianchi e beige. Anche la sedia è la stessa. Bassa e beige anche lei. Un quadro che è rimasto immobile.
Bene, anzi direi benissimo. Eppure, ho come un senso di affanno che mi rincorre. È come se in quelle giornate così libere e leggere, qualcosa mi sia rimasto addosso, non riesco a togliermelo di dosso.
Cosa credi che sia?
Non so.
Prova a pensarci.
È come se qualcosa che cerco di spingere lontano, di tenere chiuso fuori dalla porta, continuasse a tornare, a bussare. Ma non in modo gentile. Più degli spintoni a volerla buttare giù, quella porta. Un pensiero ingabbiato in luogo remoto dell’anima e della mente che sta cercando il modo di liberarsi e afferrarmi, giù fino in fondo.
E hai idea di cosa possa essere questo qualcosa? Questo pensiero?
La voce della mia terapeuta mi riporta dentro la cornice di qualche giorno prima, lontano da qui, un giorno di gioia e giostre in movimento. Pensieri gentili e felici.
Ti va di portarmi dentro quella giornata? Poi vediamo dove arriviamo.
Chiudo gli occhi e mi volto a guardare dentro un abisso di colori mai visti prima.
Il cielo questa mattina ha qualcosa di diverso. Un’alba calma fatta di blu pieni e azzurri piatti che passano da un fiore all’altro cadendo sui tetti e sulle strade ancora vuote. Limpido e senza macchie o preoccupazioni, come se durante la notte muta avesse assorbito il mondo intorno. Tutto risucchiato e dipinto in quel cielo ciano.
Di solito, quei cieli aperti e sinceri ti fanno venir voglia di feste in giardino, di piedi nudi che si fanno il solletico con l’erba, di musica gentile e risate luminose.
Apro gli occhi dentro la quiete della nostra casa temporanea. Un piccolo studio nel V° arrondissement affittato per questi giorni di vacanza e libera quotidianità lontani dalla verità che abbiamo lasciato a casa, laggiù in Italia. Chissà quando ci decideremo a trasferisci qui?
Scivolo dal letto come un gatto persiano e apro le persiane della cucina per tuffarmi in quell’aria celeste e inspirarla fin dentro l’iride degli occhi e, girando la testa, lì lo vedo, ancora addormentato sotto il piumone bianco, avvolto da sogni soffici, e un’onda malinconica invade la stanza. Allontano il pensiero e mi avvicino all’armadio, e indosso senza più pensarci la mia versione parigina preferita, fatta di luce e borse di paglia, ed esco a prendere la colazione sotto casa.
Settembre è fresco e leggero, permeato di odori di foglie ancora verdi che si staccano dagli alberi dei viali e fiori innaffiati alle bancarelle del mercato. In boulangerie, mentre aspetto di elencare la lista della spesa, tra fiumi di burro e pacchetti di erre mosce, sollevo lo sguardo oltre il cappello: che cielo libero, sarà una bella giornata. Lo sento sopra di me, limpido come il mio cuore in quel momento, senza dubbi o pensieri di passaggio.
È proprio così che mi sento in questi nuovi giorni. Dopo tanto tempo. Dopo momenti di prima depressione e intensa confusione, dopo nubi grigie e venti forti, folate che ti sbattono contro muri di pietra. Ma questo cielo sembra mi stia bisbigliando un segreto all’orecchio, sembra che voglia dirmi che il vento sta cambiando e le nubi possono sollevarsi altrove, una sensazione che tutto ora è possibile e che le porte davanti a me sono aperte e pronte per essere spalancate.
Il fait 8 euros et 40 centimes.
Appoggio le monetine dorate sul bancone e metto i croissant e i pain au chocolat e la demi baguette dentro una borsa colma di possibilità e rientro a casa.
Buongiorno, Jacques. Dormito bene?
Ho dormito sognando tutta notte un pain au chocolat.
Ci mettiamo con le ginocchia incrociate sul letto ormai pieno di pieghe, prime parole, briciole croccanti e programmi per la giornata. E sento che dentro quel momento potrei vivere per molte lunghe vite, come risalita in superficie.
Sì, lo so che è la nona volta che torniamo in città in undici anni, ma io voglio fare tutte quelle cose semplici e squisite che mi fanno innamorare di questi luoghi e di te un secondo di più. Qui la bellezza, già prima di colazione, è troppa per due occhi soli.
C’è quella libreria disordinata nel Marais, il negozio di fiori educati in Rue de Furstemberg, i baci di carne e speranze sotto il salice piangente ai piedi del Pont Neuf, l’Orangerie, les Tuileries, la notte sotto il tetto di stelle in piazza del Louvre, la cena dai profumi orientali con i tavolini per strada, qualche nuovo café da provare, quella via in cui tornare. Ah, sì, torniamo anche qui. Ti ricordi quella volta che qui ci siamo dati un bacio alla nutella? Passando per il Pont de Sully ci sono i soliti artisti di strada che vuole guardare, ascoltare, toccare con tutti i sensi, mentre in Place des Voges i bambini fanno i castelli di sabbia e le mamme si lamentano tra di loro e i ragazzi leggono qualche romanzo ingiallito della Gallimard. Sui tavolini fuori dai bistrot, le sigarette si alternano alle discussioni e i rosé. Nella galleria del V° la musica accompagna i nuovi dipinti appena appesi. Lo vedo che pensa di trovare anche i suoi, un giorno. Sono certa succederà.
Per le strade di Parigi, la luce gialla e arancio, la bellezza del primo autunno e le ombre degli alberi e dei palazzi non passano inosservati ai nostri occhi che si fanno giovani di nuovo.
Camminiamo lungo i confini della giornata, passando per piccole vie e forti orme di cibo vietnamita, finché i piedi mai stanchi ci guidano in un posto di magia e falene, un giardino cittadino segreto con i piedi a strapiombo sulla Senna e i desideri a tuffo dentro l’anima, con il tramonto alle porte mentre guarda il sole cadere sulle anse del fiume calmo.
Restiamo così per un po’, senza parlare, a osservare i colori che hanno lo stesso buon odore dei suoni di sottofondo mentre lassù sopra le nuvole volano le rondini. Anche loro sembrano felici. Nulla potrà mai essere più bello di così, con il levante che mi ha portato in dono le braccia di questo ragazzo che ora sono appoggiate lungo le mie spalle sottili.
Nella meraviglia viva e tangibile di quel dipinto, con la mente che sorvola orizzonti possibili, sento il tocco delle sua labbra su di me che mi baciano sulla fronte, lì dove la vita è più fragile.
Ti amo, Jacques.
Glielo dico a voce lenta con gli occhi chiusi, senza guardarlo, perché il cuore ti guarda sempre dritto dentro. È lì, in quell’attimo di settembre, in quel momento che mi ha riportato alla vita, che sento un tonfo vuoto, parole soffocate che non riesco a pronunciare, uno strappo, un pensiero profondo, che arriva dal profondo, fino in fondo, fino a soffocarti. E lei, lei la sento costantemente che si avvicina.
Apro gli occhi per