“Non riesco a dire come ogni volta che metto le mie braccia intorno a te, io mi sento a casa.”
(Lettera di Ernest Hemingway a Marlene Dietrich)
Odio il Natale. Odio le musichette nei supermercati, il colore rosso, lo scotch che si vede sui pacchetti, le pigne di pacchetti storte, la tracotanza di voci, le spalle grosse dei cappotti che si scontrano nei corridoi di negozi stretti, le scarpe sporche sui parquet laccati, i profumi commerciali intensi, la ripetizione della tradizione, le sciarpe brutte, i sorrisi di gomma, le parole di zucchero, lo zucchero a velo sui maglioni, i tavoli spostati per fare spazio alle sedie di plastica, lo sforzo, l’abbandono, gli addobbi che cascano dai tetti, la nebbia bassa, l’insistenza religiosa, le petulanti promesse, gli infiniti inviti. Cose e cliché. Tsé.
Mi suona il cellulare, un messaggio: “arrivo tra poco, ci vediamo a casa”.
Già, la casa. Il conforto di ogni Natale.
Rimetto il telefono nella tasca del cappotto. Non rispondo. Una coltre blu di nebbia e pensieri avvolta da una timida pioggia e un odore persistente di pere nel vino.
Cammino nel buio. Cammino da sola. Cammino sentendo l’eco del tacco sull’asfalto bagnato mentre dalle finestre affollate intorno sento le persone parlare di mutui e prosciutti.
Chissà se lui ha mangiato il prosciutto oggi. A casa ormai non lo mangiamo mai, nessun giorno dell’anno. Chissà come ha trascorso il Natale seduto intorno a quella tavola rettangolare pesante come le parole legnose che ci siamo detti prima di uscire di casa.
Non mi ricordo esattamente tutto quello che gli ho detto, prima di uscire di casa. Però ricordo che mentre lo dicevo, piangevo. Un volto scavato. Poi, a un certo punto, ho urlato. E lui se n’è andato. Ricordo che ha sbattuto la porta. Non ho mai sentito la porta sbattere il giorno Natale. Se l’ho sentita, sarà stato per la corrente delle corse dei bambini vestiti con le calzamaglie bianche.
Ricordo la sensazione di esplosione nel dirgli tutte quelle cose che per molto tempo ho tenuto nascoste dentro di me per non fargli male. Chissà perché proprio oggi ho deciso di fargli male. Oggi che tutti sono lì in piedi in attesa di una carezza. Io gli ho pronunciato schiaffi di parole su entrambe le guance e su tutto il corpo. Ricordo di aver pronunciato scanditamente e più volte la parola