“Il segreto, cara Alice, è circondarsi di persone che ti facciano sorridere il cuore. È allora, solo allora, che troverai il Paese delle Meraviglie.”
(Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie)
Otto esagoni, cinque sfere, un cuore. Verde smeraldo, rosso rubino, azzurro brillante. Vedo il mare e, più lontano laggiù, l’universo.
Hey, Pan Pan, vieni qui un attimo.
Faccio uscire l’occhio dal piccolo caleidoscopio che tengo in mano verso l’alto.
Che c’è, Jacques?
Cosa dici? Prendo le sardine o i biscotti al burro per i miei?
Le sardine, direi. Quella confezione di latta retrò sono sicura piacerà a tuo papà.
Ok, vado a pagare e poi ci sono. A che ora abbiamo la prenotazione al ristorante?
Fra una ventina di minuti.
È una settimana che siamo in giro. Vacanza estive posticipate. Settembre on the road per la Francia: Provenza, Loira, oggi Bretagna, domani Normandia e poi Parigi per un po’. Il contachilometri sulla Jeep segna già 2320 km. Avremmo dovuto essere in Perù quest’anno, a 10.480 chilometri di distanza, ma la malattia ha messo pesanti sbarre ai confini. Ci andremo l’anno prossimo.
Usciamo dal negozio e riprendiamo a camminare per le strade affollate acciottolate in salita e in discesa di questa piccola città fortificata con affaccio sul mare.
Prima sulla guida leggevo che Saint-Malo era conosciuta come la città dei corsari. Tu non avresti voluto essere un corsaro nella tua vita precedente?
Un corsaro non lo so, ma un marinaio sì.
C’è molta vita intorno, gente che va e che viene, si sposta, scruta, si ferma, sciami, schiamazzi, storie che si accavallano. È così che mi immagino le città di porto: baraonde in movimento.
In estate, verso la fine, con la frescura della sera che ti attraversa da dietro la schiena, tutto appare più bello, i colori che vanno sfumando, gli alberi ancora pieni, i bambini che giocano, i viali vasti, tutto diventa davvero più bello. Più vero.
Tu hai fame, Jacques?
Non particolarmente.
Che ne dici se saltiamo la cena e andiamo a vedere il mare che diventa cielo?
Concordiamo che chiamo il ristorante per annullare la prenotazione e iniziamo a salire le scale di pietra scura della cintura di bastioni che circonda il centro della città, finché non arriviamo a toccare il tetto del cielo. Sembra proprio di esserci dentro, in quel cielo basso, immersi, in compagnia di lunghe nuvole abbracciate tra di loro e leggeri gabbiani che fluttuano nell’aria e cercano di raggiungere la luna che è alta e piccola per gli sguardi quaggiù.
Etciiiiù.
Lo sapevo, guarda lo sapevo che ti prendevi il raffreddore. Non mi ascolti mai. Ti avevo detto di coprirti. Dimmi tu come si fa ad attraversare il ponte di Mont Saint-Michel in maglietta con il vento che c’era oggi?
Dai, Pan Pan, non arrabbiarti. E guarda laggiù, piuttosto.
I volti dei passanti trasportano la mia mente lontano. Immagini vive. Dall’alto della cinta vedo il mondo che brulica sotto i piedi e mi fa il solletico, procurandomi una strana sensazione di allegro risveglio. Ci sono i bambini sul carrousel con cavalli di plastica sbeccata che girano spinti dalla musica melodica, piccoli fumi di sigarette che si alzano dai tavolini circondati da ragazzi che parlano e parlano e parlano di fronte a bottiglie di vetro piene di vino rosso caldo e vino rosé freddo, turisti con indosso magliette di qualche città visitata in questi giorni di vacanza e in mano piccoli sacchetti di souvenir da portare a chi è restato a casa, pescatori defilati che fanno per uscire dalla folla verso il porto, mani di innamorati che si stringono e voci di bambini che fanno capricci. Sembrano tutti piccole bolle di sapone che soffiano nell’aria, una dietro l’altra. Tutte leggere, profumate, bellissime, quassù fino a noi. Chissà se scoppiano se ci vedono?
Distolgo lo sguardo da quel quadro quotidiano e lo vedo, poco lontano, immerso a scattare delle foto con l’iPhone ai palazzi intorno a noi.
Cosa fotografi, Jacques?
La prospettiva. Come la profondità dello sguardo cambia l’idea che hai delle cose. Io ne vedrò alcune e tu altre. Tu cosa vedi?
Vedo quell’appartamento che mi piacerebbe comprare. Tu?
Vedo un porto.
Ma il porto è dietro di te, Jacques.
Lo so, ma io guardando questa prospettiva vedo un lungo tunnel che approda in un porto sicuro ancora sconosciuto. Lo vedo lontano, un arrivo, un lido, mentre intorno le case che circondano e accerchiano il mondo mi riportano al pensiero scostante della sorte.
Dici che le persone qui sotto vedono i nostri pensieri?
Non lo so. Però so che voglio camminare. Andiamo dall’altra parte del muro di cinta, c’è il mare che ci aspetta.
Le sue parole si posano come una carezza sulla guancia facendole fare una lieve inclinazione verso destra, e i suoi occhi hanno una luce obliqua che gira il mondo da sotto a sopra.
Riprendiamo a camminare intorno alla città rialzata e ci dirigiamo verso il mare, come un richiamo. Con mia sorpresa, noto che non ci sono altre persone intorno a noi su quella strada. Come se il mondo si fosse dimenticato di noi, della nostra esistenza, come se vivessimo su lingue di terra parallele e inesplorate.
Alla nostra sinistra il porto con le barche attraccate e l’odore di mare contaminato dall’uomo, sulla destra alte case con lunghe finestre a griglie bianche che tagliano il cielo. Seguiamo la linea della strada intorno a questi blocchi di case ordinate, circondati da un silenzio soffice. Tutto è talmente calmo che mi sembra di udire piume volare nella brezza fresca della prima sera mentre dalle case affacciate sull’orizzonte di fronte escono voci che sembrano foglie nel vento.
Comunque, hai ragione, Pan Pan.
Ho sempre ragione. Perché?
Anche io vorrei tanto